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Paratissima 11: Torino Esposizioni 4 - 8 Novembre 2015
Sala del Museo della Città di Collegno, 6 - 22 Maggio 2016

di Gianni Gallian

Il Fotogruppo l'Incontro di Collegno partecipa a Paratissima 11 con il terzo progetto denominato "Light Impressions" dal titolo "Opera prima". Dopo le due precedenti esperienze creative: i "Fotogrammi: Grado Zero della Fotografia" e "La luce e la chimica come generatrici di forme", ci proponiamo, per mezzo di un semplice strumento quale è la macchina stenopeica, che è costituita da una scatola chiusa a perfetta tenuta di luce con un piccolo foro senza ottica, ovvero il "foro stenopeico", al primo atto, oltre il segno, verso la fotografia e comprendere le dinamiche che stanno alla base di essa ancora prima dell'esistenza di un apparecchio fotografico. Ci sono voluti oltre centosettant'anni di progresso scientifico e industriale perché gli attuali materiali fotografici e le attrezzature raggiungessero il culmine della perfezione di cui noi oggi possiamo beneficiare, quali siano stati i procedimenti chimici della fotografia tradizionale sino ad arrivare all'era digitale che segue la fotografia moderna in una svolta senza precedenti dove il "sensore elettronico" domina e batte "l'alogenuro d'argento". La fotografia contemporanea a livello globale è interamente basata sull'immagine digitale dove tutti, proprio tutti, hanno l'opportunità di fotografare per mezzo di un vastissimo assortimento di strumenti con tecnologia all'avanguardia, dalle semplici fotocamere compatte alle migliori reflex sino ad arrivare, per eccesso, all'uso dei "cellulari intelligenti", i quali offrono una infinita possibilità di applicazioni con interventi sia in fase di ripresa che di postproduzione, collegamenti a computer e rapidità di esecuzione, ma soprattutto di trasmissione in ogni angolo del mondo in un niente grazie ai continui sviluppi dell'elettronica, ma ciò non toglie provare nostalgia per le emozioni di quei processi che coinvolgono la vera magia della fotografia: uno di questi processi è la "fotografia stenopeica".

La bellezza della fotografia è nella sua storia e questa meraviglia inizia da una intuizione di Aristotele, il quale, di quella scoperta, si pone delle interrogazioni sul concetto di "camera obscura" e di tale fenomeno ne da una esatta descrizione. Qualche decennio prima del filosofo greco, un altro filosofo, il cinese Mo-Ti, meglio conosciuto come Mozi, attraverso un foro di una stanza buia cita anch'egli il principio della camera obscura. Tuttavia, per arrivare alla fotografia si dovranno attendere secoli attraverso i quali, fisici, matematici e artisti si impegnarono nello studio di quel "obscuro" quesito, il quale era della strana provenienza di una immagine che veniva dall'esterno passando per una fessura in un luogo buio e proiettata su una parete, rimpicciolita, invertita, dunque speculare, e capovolta, e quindi della possibilità di realizzare un contenitore che potesse imprigionare tale immagine. Fu l'inizio di un lungo percorso del quale si hanno notizie solo dopo un balzo avanti nel tempo fino ad arrivare all'anno mille, dove la camera obscura fu per la prima volta descritta da studiosi arabi, e mezzo millennio più tardi ripresa da Leonardo da Vinci, con una preparentesi del trattato di Leon Battista Alberti, e di seguito avvenne l'invenzione ufficiale, quasi universalmente ritenuta da parte di Giovanni Battista Della Porta, fino ad essere realizzata e utilizzata nel Rinascimento come aiuto nel disegno. Di certo è che la camera oscura nasce e si diffonde non per scopi fotografici ma come ausilio per chi dipinge, ed era impiegata dai pittori per eseguire dal vero e velocemente l'abbozzo del quadro ricalcando l'immagine proiettata da quel "pertugio" posti all'interno della stessa, per poi, da quel ricalco pittorico, essere terminato in studio.

Nel tempo la camera oscura si fece sempre più piccola e divenne in tal modo uno strumento mobile, dunque portatile, e successivamente adattata con ausili ottici, come anche la camera lucida, termine latino di camera chiara, anche se non c'era similitudine con la ben più antica camera oscura, le quali vennero utilizzate per lungo tempo come aiuto per l'artista prima che la "fotografia" consentisse di catturare il fenomeno della luce e di trasferirlo su una base cartacea, proprio perché il catturare la luce richiedeva la comprensione di materiali fotosensibili. Dopo il "quesito" ci fu "l'enigma": quello della fotosintesi. Si era a conoscenza sin da epoche lontane di come la luce sbiadiva le sostanze dei colori, ma anche che la stessa luce poteva fare reagire determinate sostanze come venne sperimentato e dimostrato dagli alchimisti medievali, i quali si prodigarono nello studio di tale mistero da quelle note tracce. Il resto è storia, e per diventare fotografia bisognerà ancora aspettare il momento esaustivo dopo una lunga ricerca per mezzo della chimica il sistema e i procedimenti per registrare ed a fissare su un supporto il vero senza la mano dell'uomo. Il supporto diventa il foglio della "verità" solo quando oltre quel "occhiello" sulla parete opposta, dove si trova un pezzo di carta qualsiasi sulla quale viene preparata e stesa una sostanza che agisce con un reagente, quindi un procedimento sensibile alla luce che è in grado di essere reattivo nel suo substrato, e qui ritorna in scena Aristotele con il suo appunto filosofico di "ciò che sta sotto", il sostrato, anche se per altra modalità ma lungimirante in uno dei tre sensi del significato di "steso sotto", dunque il composto di materia come fondamento della forma, e quindi di memorizzare automaticamente un unico momento, di diversa durata, la proiezione della realtà che lo colpisce e portare alla formazione di immagini, e dunque, soltanto quando la chimica fece il suo ingresso dentro quella "scatola magica", e di seguito in quel "foro" trova posto un obiettivo, avvenne la fotografia.

La fotocamera stenopeica può essere costituita da una scatola a tenuta di luce fatta in casa, di cartone o di legno, con un piccolo foro su uno dei lati, e sulla parete interna opposta al foro si fissa una pellicola emulsionata piana, o carta fotosensibile, sulla quale rimarrà impressa in negativo l'immagine proiettata attraverso il "forame". Il funzionamento della macchina con l'obiettivo più semplice al mondo, il foro stenopeico, o pinhole, è molto semplice, ma la tecnica richiede abilità e soprattutto pazienza. Utilizzare una di queste macchine può darci la possibilità di pensare meglio prima di ogni scatto, pensare alla qualità della luce, all'esposizione, immaginare l'inquadratura senza poterla vedere, tenere la macchina immobile a causa dei lunghi tempi di esposizione, e anche chi posa per noi deve restare immobile per lunghi secondi, dove noi siamo l'otturatore che scandisce il tempo dell'esposizione e abbiamo modo di immaginare il passaggio della luce da quella strettissima apertura circolare andando a colpire la zona della parte sensibile attraversando l'interno della camera; soltanto di una operazione non ci si deve preoccupare, quella della messa a fuoco, perché nonostante la non perfetta nitidezza l'immagine risulta sempre leggibile da zero a infinito, dunque una profondità di campo pressoché totale, insomma siamo costretti a vivere e vedere, oltre che a partecipare, senza avere proprio nessun controllo tutta una serie di eventi che normalmente sono il classico "click". Gran parte del fascino che la fotografia stenopeica esercita sta nell'approccio lento e contemplativo che essa richiede; per dirla alla Joseph Deiss: "mi piace l'idea della lentezza, per me un istante è molto meno interessante di un intervallo di tempo"; il fotografo americano così definisce lo strumento e la sua partecipazione alla creazione di immagini: "la fotocamera stenopeica ha il suo circolo di confusione, che è abbastanza ampio, per questo le immagini che si ottengono sembrano sfocate, ma con questo effetto mi risulta più facile evocare atmosfere da paese dei sogni, quella realtà alternativa che intendo creare con la mia narrazione". Per Deiss il processo di realizzazione di un'immagine è spesso più soddisfacente del risultato finale, egli non lo vede come la cattura di un'immagine con lo scatto di una fotografia, lo considera piuttosto un processo creativo.

Dunque per riscoprire il piacere della fotografia e nel contempo realizzare immagini non convenzionali è possibile usando una camera senza obiettivo, dove in essa c'è qualcosa che la rende unica nella sua scientificità e semplicità nonchè interessante e divertente per le proprie ricerche espressive, le quali possono portare a dei risultati spesso imprevedibili ma incredibilmente creativi, modulari, valenti, poliedrici; cimentandosi all'uso di questa "fotocamera" è possibile dimostrare che l'occhio di un fotografo vale più di tutte le tecnologie più all'avanguardia. Tuttavia non è necessario venire matti nella costruzione di una macchina stenopeica, utilizzando forbici, colla, nastro adesivo, vernice nera, stagnola, anche se tutto ciò ha il suo fascino nel progettare un apparecchio fotografico personalizzato e su misura, dunque possiamo anche sperimentare in forma semplificata applicando un tappo con il suo piccolissimo forellino al centro al posto dell'ottica di qualunque fotocamera reflex, sia analogica che digitale. Il fattore chiave che accomuna tutti i fotografi che utilizzano fotocamere stenopeiche, oltre che usarle come strumento artistico, è la ricerca di nuovi "punti di vista" in una riproduzione della realtà in modo soggettivo ricordando che la fotografia è una "emanazione" della pittura dove si possono alternare situazioni in cui la riproduzione del vero può essere reinterpretato, sia in modo consapevole, imparando trucchi per ottenere effetti desiderati, oppure interpretare inconsapevolmente, lasciando tutto o una buona parte al caso che vanno a sommarsi dalla approssimazione dello strumento utilizzato e dunque dalla volontà dell'autore nell'ottenere la sorpresa di particolari risultati.
Dei diversi "padri" che la fotografia ha avuto, probabilmente, ed è possibile che sia avvenuto, è che qualcuno di loro abbia usato nei suoi primi esperimenti una camera a foro stenopeico, dunque per noi, "Opera Prima", titolo di questa mostra, è diretta al significato primordiale di tale metodo, ma anche un invito all'osservazione calma e riflessiva del mondo che ci circonda, una rivincita dell'uomo sul mezzo, un riavvicinarsi alla semplicità nel catturare la luce per realizzare fotografie attraverso un buco fatto d'aria e nel contempo proporre immagini dedicate ai primi tre temi della fotografia: "la natura morta", "il paesaggio" e "il ritratto". Quindi seguendo un ordine cronologico in sequenza ai temi riproporre delle fotografie odierne come omaggio a queste "opere prime": dalla prima natura morta attribuita a Nicéphore Niépce, "La tavola apparecchiata", databile dalla maggior parte degli esperti al 1822, altri la collocano in origini incerte ma attorno al 1827, al paesaggio, sempre di Niépce, dal titolo: "Vista dalla finestra a Le Gras" , del 1826-1827, al primo "Ritratto" di Robert Cornelius del 1839, anche se esso fu un autoritratto, da eseguire tramite diversi apparecchi fotografici, dalla semplice scatola di cartone, passando attraverso strumenti analogici, per arrivare alla più moderna macchina fotografia digitale. In questa storia, dove l'uomo è stato abile nell'imitare un "brevetto della natura", ossia l'occhio umano, la fotografia stenopeica occupa un posto di assoluto rilievo nel mondo dell'arte, un metodo usato per sperimentare ma soprattutto adoperato da una ristretta cerchia di puristi della fotografia o da artisti in un approccio emozionale di ricerca nella quale si vuole ottenere volutamente una approssimazione della realtà lasciando al fruitore la possibilità di completare il "rebus"; dunque solo accenni, approcci di vedute, sovraesposizioni e sottoesposizioni, certi tipi di mosso, vignettature, velature, con interpretazioni personali di riprese fuori dal coro senza togliere la qualità tecnica e "trovare" ogni volta sempre nuovi dettagli artistici. La fotografia stenopeica è un affascinante metodo e soprattutto un meditato modo di ripresa che difficilmente una fotografia accademica ci può restituire, fatta salva l'emozionalità data dalla valenza scientifica di tale metodo, della quale si effettuano riprese fuori dagli schemi con due variabili, dove, in una è guidata sapientemente, e nell'altra combinazione l'operazione può volutamente essere lasciata all'imprevedibile, tuttavia in entrambe le possibilità i risultati che generano le due soluzioni saranno sempre immagini di puro stupore restituendo secondo l'interpretazione una scrittura visiva al limite dell'immaginifico.

 

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